Unire la verità e l’agape

di don Francesco Pilloni

Una riflessione sulla Nota del Consiglio Episcopale della C.E.I.

Le reazioni alla Nota della CEI sono state molteplici e varie e numerose sono state non solo le adesioni che il documento ha ricevuto, ma anche le reazioni di chi vedeva in questo pronunciamento dei vescovi una ingerenza di elementi dottrinali in campo civile.

Ci aiuterà forse fare un poco di ordine, partendo dal documento stesso che appare una Nota stringata e serena nei toni a chiunque voglia leggerla spassionatamente e bene articolata nei suoi contenuti. Che sia serena nei toni non significa che non prenda posizione su alcune questioni fondamentali, né che si limiti a porre in essere considerazioni generiche. Significa innanzitutto che non intende “porsi contro” nessuna categoria di persone o di situazioni. “Non abbiamo interessi politici da affermare” afferma infatti la nota, ancor prima di entrare nel merito delle questioni e si fa eco di quanto affermato dal Presidente della CEI, l’Arcivescovo di Genova Mons. Angelo Bagnasco, nella sua Prolusione: “Come può l’insistente parlare del Papa e dei Vescovi a questo riguardo essere interpretato come un sopruso, o come un’invadenza di campo, o come un gesto indelicato se non spropositato? O addirittura come una ricerca di potere temporale? Se la Chiesa cercasse il potere, basterebbe imboccare la via facile dell’accondiscendenza”.

Per una piena comprensione è necessario prendere le mosse da più lontano. E cioè da quella volontà determinata da tutto un fronte culturale di ampio respiro e rilievo che si colloca come un osservatorio mondiale dell’orientamento etico e legislativo e che sotto l’apparente promozione della dignità della donna, del benessere, della libertà individuale e della promozione di forme alternative civili e sociali mira alla sistematica distruzione della realtà familiare, ritenuta il baluardo sociale che impedisce ai diritti individuali di ognuno di affermarsi con piena e totale libertà. Una libertà che si vuole senza controllo (M. A. PEETERS, La nouvelle ethique mondiale: defis pour l’Eglise).

In un simile confronto culturale in atto anche a livello civile e politico in tutto il mondo globalizzato è ben difficile pensare ad una ingerenza della Chiesa. Rimane sempre vero che la Chiesa annuncia il Vangelo e che il suo primario interesse è quello della evangelizzazione, ma questo non rende meno vero il fatto che sia sul piano culturale che su quello politico siamo oggi dinanzi ad un movimento di aggressione e distruzione della realtà familiare. Affermare questo con tono relativo, come se si trattasse di un movimento passeggero e non di un sistema ideologico ben preciso mirante a scalzare la famiglia, significa porsi fuori dalla realtà oggettiva in cui viviamo.

Sarà bene seguire i passi principali della Nota, per poter coglierne i contenuti. La prima parola è di chiarimento del valore sociale, ancor prima che religioso, della famiglia che si vuole difendere. Una famiglia fondata sul matrimonio, che si esprime come un contesto stabile per la generazione e la crescita dei figli è un valore condiviso da moltissimi credenti, radicato nella Costituzione italiana (art 29 e 31 in specie).

E’ proprio contro questa famiglia che si erge una cultura del soggettivismo esasperato. Cultura che va radicandosi nel tessuto sociale esprimendosi in leggi che conducono la famiglia ad essere altro da quello che essa è. Quello che la famiglia è, lo è prima di tutto sul piano della natura e della ragione. E’ questo piano originario naturale che l’espressione cristiana del matrimonio comprende ed “eleva”, secondo il linguaggio tradizionale, ed è questo piano naturale che costituisce la premessa indispensabile sia del diritto che del suo retto mantenimento. L’ha ricordato Benedetto XVI nel Convegno sul diritto naturale promosso alla Pontificia Università Lateranense il 2 febbraio scorso e l’ha ripreso Mons. Bagnasco nella sua prolusione (n. 14) sopra menzionata.

Quindi in gioco non sono i diritti delle persone che per qualsiasi ragione o a seguito di traversie esistenziali, familiari o personali, si trovano di fatto a vivere una convivenza. Tali diritti non sono oggetto di discussione da parte dei Vescovi, né vengono sanzionati nella Nota della CEI. “Queste riflessioni – affermano i Vescovi nella Nota – non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni personaa tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. … Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive”.

In gioco sono piuttosto la modalità di espressione di questi diritti e la loro collocazione all’interno della comprensione giuridica della società. I vescovi in sostanza ritengono che la giusta collocazione dei diritti di chi convive sia l’ambito del diritto privato e non quello del diritto pubblico. Il diritto pubblico infatti regola i diritti e i doveri pubblicamente assunti come tali.

Nella forma sociale solo la famiglia prende impegno pubblico e merita pubblico riconoscimento. Il resto, anche quando è giusto o giustificabile, è e deve rimanere nell’ambito privato.

Un fattore ancora più problematico viene aggiunto da una convivenza tra persone dello stesso sesso. Su questa i vescovi non entrano in merito nella Nota, essendo indiscusso nella Chiesa il valore della differenza sessuale, anche grazie alla riflessione che si è andata approfondendo dopo il Concilio Vaticano II. Egualmente anche verso le persone implicate nella realtà omosessuale la Chiesa manifesta quel rispetto e quella sollecitudine sopra riportati.

Siamo dinanzi ad una sfida di portata storica. E’ una sfida che si apre per la Chiesa sul piano pastorale, come segnala molto acutamente l’intervento del cardinale Dionigi Tettamanzi. La persona umana nel suo inalienabile significato, la dignità dell’amore ed il canto della sua bellezza, il ruolo della donna e la sua assunzione più consapevole nella Chiesa, la sollecitudine pastorale verso quanti soffrono disagi di orientamento sessuale o le tragedie delle scomposizioni affettive delle famiglie sono le vere sfide che la Chiesa trova oggi dinanzi a sé ed alle quali è chiamata a rivolgersi non con le parole di una comprensione priva senza una verità adeguata, né di una verità che pesi come un giudizio od una condanna, ma con le parole che uniscono la verità e l’agape.




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