Politicamente irrilevanti?

di Giovanna Pauciulo

Un itinerario attraverso le Regioni d’Italia per scoprire i diversi approcci alle politiche per la famiglia.

Il dibattito che si è acceso in Italia rispetto al riconoscimento delle unioni di fatto, ha sicuramente il merito di aver posto l’attenzione sulla famiglia, quantomeno ora si parla di famiglia come non mai e la si analizza da tutti i punti di vista: culturale, sociale, politico ed ecclesiale. Molti alzano la voce,  c’è chi reputa la famiglia un valore importante, socialmente rilevante, cruciale per l’esistenza e la crescita degli individui; e chi sempre meno reputa il matrimonio, legame istituzionale pubblicamente  e socialmente riconosciuto, come l’architrave fondamentale che sorregge la famiglia stessa, tanto da essere posticipato, privatizzato e facilmente rimpiazzato dalla convivenza. Ma su questo punto è possibile relativizzare fino ad arrivare alla messa in discussione del genere? Oggi gli uomini e le donne sono messi in grado, nel contesto socio-politico e culturale, di compiere una scelta autenticamente umana e libera? La famiglia è promossa come la  risposta più adeguata alle istanze antropologiche?

Lo abbiamo chiesto a Pietro Boffi, direttore del Centro Documentazioni del Cisf (Centro Internazionale Studi sulla Famiglia): “occorre riconoscere che al di fuori dei facili stereotipi spesso proposti dai mass media a caccia di sensazionalismo, vi sono dati che sembrano confermare le analisi che vorrebbero la famiglia destinata ad un lento ma inesorabile declino, ad una progressiva irrilevanza,  ma vi sono altri indicatori, poco noti e poco frequentati, ad esempio la permanenza dei giovani dai 18 ai 34 anni in famiglia, la prossimità residenziale con i parenti,  – precisa il dott. Boffi – che sono la spia di una complessità della famiglia italiana che non si può ridurre agli stereotipi, ma che indicano una sostanziale tenuta, tipicamente italiana, dell’idea stessa di famiglia”.

In una recente indagine ISTAT campionaria condotta su 19.000 famiglie,  si legge che  più della metà degli intervistati è contraria all’affermazione che il “il matrimonio è un’istituzione superata”; che il numero medio di figli desiderato è pari a 2,1 per donna, e che il 43,4 %  dei rispondenti è contrario (mentre il 34,9 % è favorevole) alla possibilità che una donna abbia un figlio in assenza di un’unione stabile. Da questo spaccato di realtà si evince che occorre  promuovere supporti culturali, educativi, politici ed economici che consentano alla famiglia non solo di sopravvivere ma di attuare e vivere la sua relazione interna ed esterna in maniera serena ed equilibrata.  La prima cosa da fare è restituire alle famiglie non solo l’orgoglio di essere famiglie, ma il dovere- diritto di esserlo sulla scena pubblica. In questi anni, che coincidono con la messa in discussione del valore socio-culturale e politico della famiglia, le famiglie sono diventate la vera spina dorsale del nostro Paese senza neanche saperlo e senza reclamare tutti i diritti che conseguono ai doveri che si sono assunti. In momenti di crisi, il vero ammortizzatore sociale ed economico è la famiglia. Le famiglie italiane supportano i costi della disoccupazione, risolvono problemi di latitanza dello Stato e della pubblica amministrazione. In Italia, in particolare, il sovraccarico funzionale delle donne è 5 volte superiore a quello delle loro colleghe negli altri Paesi d’Europa. Le famiglie non sono al centro dell’agenda politica in Italia. Al contrario, si fermano ai gradini più bassi di un ipotetico elenco delle priorità. L’Italia, infatti, investe solo lo 0,9% della ricchezza nazionale nelle politiche familiari. Si tratta quindi di capire se le strategie e gli interventi attuati dai diversi attori istituzionali siano realmente di riconoscimento, promozione e sostegno della famiglia o se non ci si sia semplicemente accontentati di attivare interventi che, con lo scopo di rispondere ad alcuni bisogni, si sono di fatto sostituiti al ruolo proprio delle famiglie.

Critica la situazione delle “politiche familiari” nelle Regioni italiane

Caratteristica comune a quasi tutte le Regioni italiane è la difficoltà di elaborare politiche per la famiglia. Un ricercatore che volesse sapere come la realtà famiglia è oggetto e/o soggetto dell’azione politica regionale deve visitare i diversi siti ufficiali delle 20 regioni italiane per scoprire che il capitolo delle politiche familiari non esiste in maniera esplicito ma che bisogna ricercarlo all’interno degli interventi di politica sociale pur sapendo che tra politica sociale e politica familiare vi è una sostanziale diversità di focus: il ben-essere individuale e il ben-essere familiare, rispettivamente. Questa constatazione può contribuire a spiegare la ragione per cui molto spesso i destinatari delle politiche sembrano “senza famiglia”.

Le Regioni non raggiungono la sufficienza nel campo delle politiche familiari è quanto emerge dai risultati dell’indagine condotta su otto tra le principali Regioni italiane, dalla società di servizi Aretés per conto della Cisl e della Fnp-Cisl. Con la ricerca si è voluto capire se le strategie e gli interventi attuati dall’istituzione regionale, procedono realmente nel senso del riconoscimento, della promozione e del sostegno delle famiglie in quanto soggetto, o se, per contro, gli interventi messi in atto dalle Regioni con l’obiettivo di rispondere ad alcuni bisogni, si sono di fatto sostituiti alle funzioni proprie delle famiglie.

Per le otto Regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) da una parte sono state analizzate le tipologie di documenti normativi, individuati in leggi, delibere della Giunta regionale, delibere del Consiglio regionale e decreti del presidente della Regione; dall’altra gli ambiti di riferimento dei documenti stessi, relativi in particolare alle politiche rivolte a famiglia, minori, soggetti svantaggiati, anziani, disabili, pluritarget e stranieri.

In quanto soggetto dell’attenzione normativa la famiglia (Tabella 2) si colloca al terzo posto dopo i minori  e i disabili. Rispetto al totale dei documenti analizzati  il 17%  di essi riguarda l’ambito famiglia come soggetto dell’azione politica. La famiglia è seconda rispetto ai disabili nella distribuzione delle unità di analisi sugli ambiti identificativi dei beneficiari (tavola 3). Il numero consistente di interventi rivolti ai disabili (80 interventi), a seguire quelli rivolti alle famiglie (62 interventi), mostra come tra le otto regioni analizzate la Lombardia si distingue per i sui 17 interventi su 62.

Lombardia e Sicilia

L’Igf della Regione Lombardia è il più alto in assoluto a livello nazionale (49,5). Ciò è dovuto in particolare all’Indicatore sussidiarietà, decisamente superiore alla media e volto a evidenziare la propensione del legislatore a valorizzare il ruolo dei corpi intermedi con particolare riferimento alle associazioni familiari. Per contro, da evidenziare il dato significativamente negativo dell’Indicatore azioni, a indicare una carenza di flessibilità nell’offerta di servizi. L’Igf della Regione Sicilia è sopra alla media nazionale ed è il più alto tra le Regioni del Sud (48,2). Registra un dato positivo in relazione all’Indicatore beneficiario, che dimostra l’attenzione del legislatore al sistema di relazioni familiari. Se anche l’Indicatore strategie e l’Indicatore azioni assumono valori superiori alla media, decisamente negativo è il valore dell’Indicatore sussidiarietà.




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