E’ il momento di rimanere uniti

a cura di Giovanna Abbagnara

Quando la promozione della famiglia si coniuga con la promozione della donna.

Indicativa la scelta di Eugenia Roccella come portavoce del Family Day. Madre e sposa, giornalista e saggista, da anni porta avanti una battaglia accesa per la tutela della vita nascente, per il riconoscimento culturale, economico e sociale del ruolo della donna.

Ha pubblicato numerosi libri e da due anni scrive per Avvenire, il quotidiano cattolico dove è nota per i suoi editoriali appassionati e curati.

Delle Foglie coordinatore della conferenza stampa del 23 marzo che annunciava la manifestazione del Family Day, l’ha indicata come portavoce  dell’evento, in quanto aiuto alla costruzione del consenso in termini culturali. Più volte in questi ultimi giorni la ritroviamo in dibattiti televisivi affermare con grande garbo e con quella dolcezza squisitamente femminile ma anche con estrema convinzione e padronanza di idee, la centralità della famiglia e del suo ruolo. Ma perché l’associazionismo cattolico ha voluto proprio lei? E’ la prima domanda che le rivolgo. “Hanno scelto me penso perché io da anni faccio alcune battaglie fianco a fianco con il mondo cattolico. Per esempio quella contro la ricerca sulle cellule staminali embrionali, quella contro il referendum sulla procreazione assistita e poi sulla RU 486, la pillola abortiva, sull’eutanasia. Queste battaglie sono state fatte in piena sintonia. Io penso che lo scopo di questa manifestazione è proprio unire credenti e non credenti, unire gli italiani che credono alla famiglia, al di là proprio della questione della fede, non è che solo i cattolici hanno a cuore la famiglia. Tra l’altro la fede cattolica sostiene che la famiglia precede qualunque cosa, la famiglia è la prima cellula fondamentale della costituzione delle comunità umane, intorno alla famiglia, e diciamo più a fondo intorno alla nascita, intorno alla generazione, si creano quelle relazioni spontanee che poi costituiscono le comunità”. La posta in gioco, si capisce subito è molto alta.

Dott.ssa Roccella in termini culturali quanto può incidere l’approvazione del disegno di legge sui Dico, specie per i temi che le stanno più a cuore, come quelli legati appunto alla vita nascente? “Io credo moltissimo nel valore pedagogico delle leggi. In Italia quello che va detto è che ci sono due problemi sui Dico. Uno è il discorso del riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso e un altro è il riconoscimento delle unioni di fatto. Sono due problemi che si possono affrontare pragmaticamente secondo criteri diversi.

L’unione di persone dello stesso sesso mina proprio il concetto che abbiamo detto prima, cioè che la famiglia è un unicum nel mondo umano. La famiglia nasce sulle relazioni spontanee che si creano intorno alla procreazione, e ha un interesse nei confronti della società, cioè la società è interessata a riconoscerla perché la famiglia svolge dei compiti fondamentali.

Prende in proprio delle funzioni che interessano allo Stato proprio sulla generazione, cioè sulla solidarietà fra le generazioni. Nella famiglia si cura il passato e il presente, si curano i nonni, i figli, e i nipoti, c’è un filo che continua, e questo filo è fondamentale proprio per la solidarietà fra le generazioni. Quindi il matrimonio omosessuale mette in crisi il dato fondamentale che la famiglia è unica e si fonda sulla generazione.

Il discorso è diverso sulle unioni di fatto?

Si, qui dobbiamo fare un discorso diverso. In tutta Europa o quasi, sono state quasi riconosciute le coppie di fatto. Questo dato ci viene indicato come un ritardo italiano.  Nessuno però va a vedere cosa succede in questi paesi europei indicati come esempio di civiltà. In quasi tutta Europa le unioni di fatto sono state riconosciute dalla seconda metà degli anni Novanta.

Dal momento in cui vengono riconosciute le coppie di fatto, cresce un dato che è quello dell’aumento delle mamme single, delle mamme sole, anche in quei paesi che hanno un tasso di natalità migliore del nostro. L’aumento di questo fenomeno implica una serie di costi sociali umani, e anche proprio economici, oltre che a un impoverimento delle donne, e a un indebolimento della funzione paterna.

In Inghilterra c’è stato un rapporto recente in cui sono state messe sotto accusa le unioni di fatto, in relazione a una serie di fenomeni di disgregazione sociale che sono molto diffusi in Inghilterra ovvero la criminalità giovanile, droga, aborti precocissimi. Questo perché le unioni di fatto non sono stabili. Un unione di fatto ha dieci volte la possibilità di rompersi più di un matrimonio. Inoltre esse portano ad un indebolimento della figura paterna, ci sono i così detti padri transitori, loro li chiamano “padri ospiti”, cioè i padri che arrivano, stanno un po’, un anno, due anni, e poi vanno via.

In Italia invece come è la situazione?

Mentre negli altri paesi le unioni di fatto hanno costituito il riconoscimento di situazioni già molto diffuse, in Italia non è così. Noi abbiamo ancora una forte tenuta della famiglia, pochi divorzi rispetto all’Europa. Questo è un segno di civiltà, perché vuol dire che la tenuta sociale è forte, che lo Stato ha meno costi economici da sostenere, perché se li assume la famiglia.

La famiglia è il primo nucleo di redistribuzione del reddito di sostegno dei deboli. Le pensione dei nonni, si sa benissimo, che spesso viene ridistribuita nella famiglia. Le unioni di fatto sono pochissime, tecnicamente sono il 4% ma se le sfrondiamo, dai ragazzi che convivono in attesa del matrimonio, dai divorziati che non si risposerebbero, e comunque non farebbero neanche unioni di fatto perché vogliono mantenere l’assegno di divorzio, alla fine quante sono realmente le unioni di fatto? Saranno il 2%. Una cifra minima.

E quindi perché in Italia c’è l’esigenza di riconoscere le unioni di fatto?

Riconoscere le unioni di fatto in Italia oggi vuol dire promuoverle. Non vuol dire riconoscere una situazione già diffusa perché non è così. Se io creo la possibilità di una opzione tra un matrimonio impegnativo come quello previsto dalla legge italiana, che è un matrimonio molto fondato sui doveri, molto più che sui diritti, e invece dall’altra parte una forma di riconoscimento di un unione molto meno impegnativa, in cui la persona non prende sostanzialmente impegni a lunga scadenza, in realtà io metto due cose in concorrenza e promuovo una cosa che per la società porta solo danno. Quindi creo una sorta di concorrenza sleale fra due cose che non sono equivalenti.

Lei prima ha parlato della donna, ma com’è la promozione della famiglia si intreccia con la promozione della donna?

Ma in tantissimi modi, per esempio basta pensare allo slogan femminista degli anni 70: la maternità come libera scelta. Da allora ad oggi il desiderio di maternità delle donne è inalterato, se si va a vedere questo tipo di sondaggi, si vede che le donne vogliono essere madri più o meno come 20-30 anni fa, però la differenza è che oggi non fanno figli. C’è un guasto nella famosa libera scelta. Oggi le donne non riescono a mettere d’accordo le esigenze lavorative e familiari con il desiderio di maternità. E’ un atto di coraggio oggi mettere al mondo un figlio perché la donna sa che verrà ostacolata in tutti i modi, nello studio, nel lavoro.

Internamente non può contare su nessuno se non sui nonni, gli asili nido presso i luoghi di lavoro sono pochissimi. Io per esempio quando ho avuto i miei figli ho sostanzialmente cercato lavori part-time e ho fatto la flessibilità fai da te. Ogni volta dobbiamo essere molto fantasiose. E questo è un problema molto serio.

La natalità è più alta nei Paesi dove la donna è facilitata sul posto di lavoro, e  ha una possibilità di flessibilità come l’accesso al part-time.

In Italia le donne fanno i figli all’interno del matrimonio e questa è già una garanzia ma bisogna aiutarle maggiormente. Questo è un punto molto importante di contatto tra il femminismo e la promozione della famiglia.

Si sarebbe parlato comunque di famiglia anche senza i DiCo?

I DiCo sono stati il lievito, l’ultima  provocazione che ha messo in moto un’esigenza di andare in piazza, di far pesare una maggioranza che è appunto la famiglia,  trattata come una minoranza. Quindi sarà una grande manifestazione della società civile, organizzata ovviamente dalle associazioni cattoliche, ma in cui questa volta le associazioni cattoliche hanno una leaderschip che vale per tutti, che è il cuore della società italiana, perché le famiglie sono il cuore della società italiana.




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