Un frate fra le macerie

intervista a cura di Luciano Gambardella

Fra Tufic è un frate francescano che conosce la realtà libanese come pochi. La sua competenza e il suo sorriso sono al servizio di tutti. Senza fare distinzioni aiuta il suo popolo a risollevarsi dalla fase difficile che sta attraversando.

Un’immagine che riflette fedelmente lo stato d’animo dei giovani libanesi a distanza di sei mesi dalla fine del conflitto tra Hezbollah e Israele è quella di un incontro che ho fatto pochi giorni prima di venire in Italia con un ex studente della scuola francescana di Terra Santa. Al giovane, ormai disoccupato dopo aver visto andare in frantumi insieme ai suoi sogni anche la sua officina meccanica acquistata a costo di duri sacrifici, ho chiesto quali fossero i suoi progetti. La sua risposta è stata lapidaria: “Che cosa posso fare adesso? In Libano siamo sempre minacciati”.

Fra Toufic conosce molto bene l’ universo giovanile libanese sia grazie alla sua giovane età, appena 37 anni, sia grazie ai suoi numerosi incarichi che gli consentono di stare a stretto contatto con i giovani: Guardiano della Custodia in Libano, animatore vocazionale, responsabile della scuola primaria di Tripoli a nord del Libano.

“ In generale dopo un lungo periodo di calma – prosegue il frate libanese –  che il Libano ha vissuto dal 1990-91 in poi, i giovani e i bambini stavano per dimenticare il Libano della guerra civile. Rivivere di nuovo la guerra è stato molto difficile e ora è un po’ difficile convincerli che tutto è finito.

La situazione è preoccupante.

Dopo sei mesi è un po’ difficile dire che la gente ha vissuto i 40 giorni che hanno vissuto e che hanno spazzato via un bel sogno, però ho tanta fiducia perché i libanesi vengono da “radici felici”, radici che parlano della figura della fenice, l’uccello che rivive dalle proprie ceneri”.

Verso cosa o chi è debitore di questa speranza ritrovata?

Quella solidarietà che non è possibile trovare tra quanti spadroneggiano, diviene reale tra la gente comune. Durante la guerra con Israele un milione di libanesi (un quarto di tutti i libanesi), sono scappati dal sud e sono stati accolti da gente di un’altra religione nel nord del paese. Il Libano, purtroppo, è diviso in zone e gli abitanti della zona cristiana hanno accolto i libanesi ospitandoli nelle parrocchie, nelle scuole e anche, a volte, nelle case. Mi raccontava un cristiano un po’ fanatico che mai avrebbe pensato di mettere la sua mano nella mano di un musulmano o di farsi un amico musulmano e, invece, adesso ha instaurato una bella amicizia con lui. Qualche aspetto positivo si può cogliere anche da questi rapporti che si sono instaurati, gli stessi musulmani dicono: “Avevamo paura di come saremmo stati ricevuti. Non pensavamo in un’accoglienza così da parte dei cristiani e questo perché durante la guerra era stato costruito un muro tra noi e voi. Pur avendo vissuto 15 anni di calma dopo la guerra civile il sospetto era sempre presente verso di voi e, invece, con il modo in cui ci avete accolto, ci avete tolto ogni sospetto”. Questa è una bellissima testimonianza!

E la Custodia come si è adoperata per aiutare questi sfollati?

La nostra scuola di Tiro, nel sud del paese, e l’altra a Tripoli, nel nord del Libano, hanno fatto la propria parte. Erano quasi 300 persone. Le nostre scuole sono piccole, non sono collegi, parliamo di scuole elementari di otto classi, ma abbiamo comunque questo numero così grande di persone che cercavano rifugio. Ripeto, dopo la guerra queste relazioni proseguono ancora oggi. Mi ricordo che a Natale, cristiani di diverse parrocchie, hanno deciso di andare a festeggiare con la gente che era stata accolta in quel periodo.

Le scuole della Custodia francescana sono frequentate da bambini cristiani e musulmani. Quanto è importante l’educare alla pacifica convivenza già dall’infanzia?

Prima di tutto una distinzione tra i bambini non c’è nelle nostre scuole. La maggioranza dei bambini è musulmana, e quando parliamo di cristiani parliamo di una ventina di cristiani su 280 musulmani. Tutti i bambini mi chiamano abuna, una parola araba che vuol dire padre. Io sono il responsabile della scuola ma durante la ricreazione a me piace stare con i bambini e giocare con loro. La figura del frate che sta in mezzo ai bambini fa sì che essi lo amino e lo rispettino. Ma non tutto è sempre così semplice. Mi ricordo che un giorno venne uno sceicco nella nostra scuola e mi chiese: “Voi insegnate ai bambini musulmani a diventare cristiani? Insegnate loro le preghiere cristiane?” Queste erano le insinuazioni fatte dal papà di un nostro bambino e allora decisi di chiamare proprio il figlio di quell’uomo in direzione e gli chiesi di ripetere la preghiera che dico ogni giorno al mattino. Il bambino iniziò dicendo: “Signore fa’ di me uno strumento della tua pace”. Questa è la preghiera di San Francesco. Chiesi allora allo sceicco: “C’è qualcosa di cristiano in queste parole? Se tu non vuoi essere uno strumento di pace questo è un tuo problema, non un mio problema”. Allora egli uscì chiedendo scusa. Noi cominciamo la giornata con una preghiera che non è né cristiana né musulmana. Francesco è stato il prima a diffondere il dialogo, quindi, una preghiera di Francesco è aperta a tutti. È sempre stato così e sempre lo sarà.




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