Mestiere Genitore

di Gabriele Alfano

Le consolle da videogiochi sono uno dei fenomeni sociali più rilevanti degli ultimi due decenni, soprattutto perché sembrano travolgere la vita di bambini e ragazzi rapiti dal vortice ludico di queste macchine. Cerchiamo di fissare qualche punto fondamentale in questo discorso.

Perché le consolle sono così attraenti per i bambini? La consolle è progettata con molta cura, bisogna riconoscerlo, e, a dispetto del personal computer, riesce effettivamente a mantenere una funzionalità amichevole (in gergo, user friendly): anche chi è completamente a digiuno di strumenti informatici riesce ad usarla persino senza l’aiuto di persone esperte. I comandi sono ridottissimi, estremamente semplificati e privi di simbologie specialistiche: per esempio chiunque distingue facilmente un cerchio da una x, due tasti presenti sui joystick della consolle, e memorizza rapidamente le funzioni che di volta in volta assumono nei vari videogiochi. Questo ci conduce a considerare le cosiddette interfacce dei videogiochi: sullo schermo, infatti, compaiono, solo al momento opportuno, tutte le istruzioni necessarie per comprendere la funzione di ciascun simbolo per cui già alla seconda partita il giocatore inesperto sa come procedere nel gioco. Il gioco, infine, è sì ricchissimo di colori, immagini, suoni ed effetti speciali, ma sostanzialmente è ridotto a poche e semplici sequenze di azione che si ripetono con variazioni solo apparenti: dopo le prime partite il giocatore sa perfettamente quali comandi dare alla macchina per far procedere il gioco verso una conclusione che i programmatori hanno preventivamente impostato. Tutto ciò rende il gioco attraente? Ebbene si, perché si diventa rapidamente abili, specialmente ai livelli da principiante, e saper fare una cosa (cioè essere abili in qualcosa) produce di per sé un piacere che non necessita di incentivi esterni, ma si autoalimenta diventando gradualmente un rinforzo sempre più potente.

Questo meccanismo psicologico entra in azione in tutte le attività umane che altrimenti vengono rapidamente abbandonate e risulta positivo e funzionale là dove si tratta di comportamenti utili alla vita sotto qualsiasi aspetto: i neonati che apprendono a lanciare oggetti, traggono sì un beneficio per la coordinazione oculo – manuale, ma anche il piacere di veder rotolare un oggetto dalle reazioni imprevedibili per cui tendono a ripetere il comportamento e ogni volta lo migliorano. Nel caso della consolle questo vantaggio viene a mancare perché l’abilità acquisita è estremamente ripetitiva e si può applicare solo ai videogiochi della consolle medesima. Per quanto possa sembrare strano, il “banalissimo” gioco della palla è molto più utile allo sviluppo psico – motorio di un videogioco dagli “effetti speciali di ultima generazione”. Il primo, difatti, è aperto a migliaia di varianti e più il bambino lo modifica più si apre alla novità, senza contare che ogni variazione nell’abilità acquisita si può generalizzare ad altri campi e può, quindi, produrre ulteriori sviluppi nei comportamenti del bambino stesso.

Del resto dietro questo fenomeno si nasconde una ferrea logica di mercato: inchiodando i bambini alla consolle mediante la ripetitività ultrasemplificata del videogioco, l’unico modo di variare il piacere, quando sopraggiunge la saturazione, è l’acquisto di un nuovo videogioco. I genitori questo lo sanno perfettamente e rassegnati l’assecondano, ma hanno delle alternative concrete e molto efficaci: incentivare i propri figli, fin dalla più tenera età, a cimentarsi in giochi in cui il controllo reale dell’azione non è sottomesso ad un freddo microchip, ma alla vivacità e alla creatività del loro cervello.




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