La parola agli sposi

di don Silvio Longobardi

La legge che regola i diritti dei conviventi, che in queste settimane ha iniziato il suo iter parlamentare, rappresenta un chiaro segnale culturale, una conferma di quella tendenza a penalizzare la famiglia che purtroppo sembra una costante della politica italiana. Di ogni colore, con buona pace di quelli che oggi si stracciano le vesti. La Chiesa fa bene a segnalare la scarsa attenzione nei confronti della famiglia e a chiedere una legge che tuteli e sostenga il primo ed essenziale nucleo della società civile. E fanno bene i cattolici a denunciare la miopia di una politica che non scommette su questa straordinaria risorsa sociale che si chiama famiglia.

Bisogna però stare attenti a non dare eccessiva importanza alla dimensione politica. La legge svolge una ineliminabile funzione educativa. Lo sappiamo. Ma conosciamo anche la forza pervasiva di quella cultura che oggi passa attraverso i mass-media, e in particolare per la televisione. Vi sono talk-show, fiction e spot che esaltano l’amore emozionale e banalizzano la famiglia. Questi canali culturali sono ancora più insidiosi: la legge indebolisce l’istituzione familiare, questi svuotano di valore l’esperienza affettiva che unisce l’uomo e la donna.

In un tale contesto culturale inutile cercare stampelle. Meglio prendere coscienza che il bene della famiglia oggi è affidato alla famiglia stessa. Se ciascuno è chiamato a fare la sua parte, il ruolo degli sposi è certamente quello più importante e decisivo. Sono loro che devono testimoniare che la vita a due toglie l’indipendenza non la libertà, crea legami non schiavitù, impegna in un “per sempre” che non mortifica ma esalta l’amore. Spetta agli sposi mostrare che la vita di una famiglia, anche quando sembra scorrere sui binari della monotonia, immette nell’esistenza di ciascuno e nel tessuto dell’intera società una straordinaria energia di vita.

Il “per sempre” che unisce gli sposi diventa così il pilastro di una società che crede nella solidarietà e la vive non come un’emozione passeggera ma come un impegno stabile e duraturo, come un imperativo etico che le mille difficoltà non possono mai far rinnegare. È questo il compito peculiare della famiglia. Oggi più che mai importante. Ed è questa la missione degli sposi cristiani che hanno avuto la grazia di fare esperienza dell’amore fedele e indissolubile di Dio.

È questo il tempo in cui la fede deve apparire non tanto e non solo come un argine che si oppone al dilagare di una cultura che esalta l’individualismo e riduce lo spazio dell’amore, ma soprattutto come una bussola capace di indicare profeticamente la via della gioia. In questo modo il cristianesimo diventa una risorsa per l’umana società. Non importa se veniamo osteggiati. “Il buon Dio – scrive Bernanos nel suo Diario di un curato di campagna – non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ma il sale. Il sale, su una pelle a vivo, è una cosa che brucia”. Ma proprio per questo la preserva.




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