Il profeta della pace

di Marco Pietro Giovannoni

Giorgio La Pira è stato un uomo straordinario, un uomo impegnato su più fronti a favore della pace e del dialogo. Marco Pietro Giovannoni ha curato un libro pubblicato da pochi mesi, Il grande lago di Tiberiade, che raccoglie le Lettere di La Pira per la pace nel Meditteraneo (1954- 1977). Attraverso il suo studio comprendiamo la filosofia di fondo delle  intuizioni e delle azioni del sindaco di Firenze.

Esaurire in poche righe l’argomento è impossibile e, d’altro canto non esistono a tutt’oggi studi critici dei documenti lapiriani riguardanti il suo impegno per la pacificazione dell’area mediterranea, entro la quale il professor La Pira – ed è già una indicazione politica su cui riflettere – intravedeva le soluzioni per i conflitti arabo-israeliano e israelo-palestinese. Non potrò così che offrire due rapidi cenni provvisori e non esaustivi.

Il primo cenno per ricordare che per La Pira la “missione” di Sindaco di Firenze fu intimamente e strutturalmente connessa con la sua azione internazionale di “operatore di pace”.

Non è certo una caso che sin dall’inizio del suo primo mandato, siamo nel 1951, il Sindaco abbia portato Firenze al centro dell’attenzione mondiale: già a partire dal giugno 1952 comincia – col Primo Convegno per la Pace e la Civiltà Cristiana – una lunga e variegata serie di incontri internazionali che faranno di Firenze un laboratorio di dialogo culturale e politico capace di inserirsi con singolarità di metodo e con “spregiudicata” libertà e fantasia in moltissime fra le acute e ripetute crisi internazionali del periodo della così detta “Guerra Fredda”, con uno sguardo e con una “rete di relazioni” veramente globale. Non è possibile entrare nel dettaglio, è necessario però tenere presente che, anche se Firenze non l’ha forse mai capito e non è stata in grado di riceverne l’eredità,  la Città era chiamata a coinvolgersi in questo cammino di pace come tessuto vivente, come realtà di quotidiana esistenza, lotta, partecipazione, speranza. Si rilegga, per capire quanto sto scrivendo, l’intervento di La Pira al Comitato Internazionale della Croce Rossa a Ginevra nel 1954 sul “valore delle città”. È nell’ambito di questa precisa concezione del “valore delle città” che – coerentemente alla sua visione della storia e della fede – La Pira sviluppa una vera e propria “cartografia della grazia”; una mappa, cioè, nella quale sono evidenziate le città – a suo modo di vedere – chiamate ad una particolare missione nella realizzazione della vocazione e del destino dell’umanità, vale a dire la riconciliazione e la pace fra tutti i popoli e le nazioni della terra. Inutile dire che Gerusalemme, per il suo essere Città Santa degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani, è al vertice di questa “geografia della grazia”.

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Il secondo cenno concerne la visione teologica alla quale La Pira si ispira per la sua interpretazione della realtà e della storia. Premesso che in La Pira la fede cristiana non indulge mai all’integralismo, né religioso né politico, perché sorgiva di Speranza e non di ideologia, propedeutica al dialogo e non ai “modelli da esportare”, suggeritrice di proposte forti e radicali, mai di “imposizioni non negoziabili”; direi – mi si scusi il linguaggio adatto alla sintesi ma inadeguato all’analisi che mi è richiesta – che da La Pira si possono desumere un “ipotesi di lavoro” e, almeno, due corollari applicabili in special modo all’area mediterranea e a quella medio-orientale.

L’ipotesi di lavoro è che Dio non abbandona gli uomini: la Resurrezione di Cristo costituisce un punto di non ritorno in vista del quale e a partire dal quale, la grazia agisce nel cuore degli uomini e dei popoli per portare – nonostante la tremenda drammaticità degli eventi contrari – alla riconciliazione e alla pace. I due corollari possono essere indicati attraverso le categorie che La Pira mutua dalla Scrittura: il crinale apocalittico della storia e la vocazione della triplice famiglia di Abramo.

Non si spaventi il lettore poco addentro alla terminologia teologica: non si tratta di complicate e astruse previsioni catastrofiche, né di astratte “angolature” spirituali. Al contrario è tutto realismo politico miscelato ad una spregiudicata fiducia nel Padre Eterno!

L’apocalittica biblica, infatti, non racconta la fine, ma il “nuovo inizio” che Dio è in grado di dare alla storia quando gli uomini, ostinati cercatori di vicoli ciechi, vedono la distruzione causata dai soprusi dei potenti e dalla loro incapacità di comunione e di solidarietà. Fine, allora, non è parola di Dio, ma disperazione dell’uomo che non può immaginare un avvenire diverso dalla distruzione che ha causato nel presente. E’ allora (ed è il senso dell’apocalittica biblica) che la Parola di Dio si fa “visione” di un avvenire nuovo, speranza costruttiva che illumina i passi del “ritorno” fuori dai vicoli ciechi del sopruso, del dominio del più forte, della disperazione. Ebbene La Pira ci dice che il potenziale distruttivo (atomico, batteriologico, chimico) in dotazione – ormai da più di mezzo secolo – agli uomini, così come – in positivo – le inimmaginabili potenzialità tecnologiche, costituiscono, appunto, un crinale apocalittico, un punto di non ritorno: la guerra non potrà mai più essere strumento efficace per la risoluzione dei conflitti, perché non è più in grado di dare né vinti, né vincitori. Si noti che non si tratta di pie speranze: è realismo politico puro. Infatti, nessun nuovo ordine internazionale potrà più essere raggiunto attraverso la guerra, perché per vincere e imporsi occorre distruggere troppo se non tutto, così che anche il più forte non è in grado di sopportare il male che ne deriva. Il fatto che la seconda guerra dell’Iraq abbia già superato in durata la seconda guerra mondiale non dice forse che chi l’ha scatenata ha quantomeno gravemente peccato di scarso senso di realismo?

In questo contesto, che già si viveva anche se nel passato ambito (forse un po’ meno ipocrita) della “guerre fredda”, l’apocalisse, la rivelazione della Parola di Dio, non sta nell’indicare l’impossibilità e inutilità della guerra (basta essere un po’ intelligenti per questo), ma nell’indicare una via di uscita e nel suscitare da parte di Dio nel cuore degli uomini (anche dei potenti) la conversione al dialogo. La Pira cercò negli interlocutori del suo tempo (potenti e deboli) le tracce del lavoro di Dio nel loro cuore e se ne fece – in questo senso autenticamente – Profeta; tentò attraverso i Convegni di Firenze, i suoi viaggi, gli innumerevoli scambi epistolari, di trasformare anche i segni più piccoli di questa conversione al dialogo, in ricerca di trattative e di negoziati realistici. Andò oltre l’umanamente immaginabile: Nasser, Hussein, Arafat, Golda Meir, Aba Eban, Dayan…., per restare nell’ambito della Terra Santa!

Il secondo corollario riguarda la triplice famiglia di Abramo, che è strettamente connessa a Gerusalemme che delle tre religioni che si richiamano all’unico Dio di Abramo è Città Santa e contesa. Ebbene: per La Pira, usando una sua espressione, occorre rovesciare le crociate perché la vicinanza spirituale delle genti ebraiche, cristiane ed islamiche indica la loro comune missione di trasmettere e far vivere, in un mondo in cui le ideologie e le prassi materialiste (sia comuniste che liberiste) vogliono imporre la sola legge del più forte, i valori dello spirito, che sono i valori della bellezza, della preghiera, della solidarietà, dell’incontro, del destino eterno dell’uomo. La storia del mondo presente ha, cioè, bisogno dei valori dello spirito, e sono le civiltà imperniate di religione a poterli dare, fra queste in particolare le religioni che pregano il Dio di Abramo. Esse, per poter adempiere la loro missione hanno prima di tutto bisogno di riconciliarsi.




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