Stranieri nella propria terra
di Susan Nathan
E’ stata in Italia pochi mesi fa per una tavola rotonda sul conflitto israelo-palestinese. In questa occasione abbiamo raccolto la sua esperienza di donna impegnata per la pace attraverso una scelta molto particolare.
Circa 10 anni fa, ho deciso di andare a vivere in Israele realizzando così il sogno di un ebrea che va nella sua terra. Ho preso questa decisione dopo il mio divorzio e consapevole del fatto che i miei figli erano ormai grandi. All’inizio di questa esperienza in terra israeliana ero perfettamente d’accordo con l’indirizzo della politica dello stato di Israele: la questione palestinese era per me soltanto marginale.
Questo mio punto di vista cambiò decisamente quando nell’ottobre del 2000 in piena intifada, 13 palestinesi furono uccisi dalle milizie israeliane. A partire da quel momento cominciai a chiedermi quale fosse il mio ruolo di cittadina in quel contesto.
Dopo quell’ episodio capii che c’era una parte della vita del popolo palestinese che non conoscevo affatto. Così ho iniziato a lavorare in una ONG costituita da ebrei e palestinesi, a partire dal 2001. Lavorando in questa ONG ho capito che lo stato di Israele poneva in essere legalmente ed illegalmente ogni sorta di discriminazione tra i cittadini palestinesi. Ciò che accade in Israele è molto simile a ciò che accadeva in Sud Africa durante l’ apartheid. Come cittadina ebrea dello Stato d’Israele non potevo schierarmi contro l’apartheid in Sud- Africa e non contro quella in atto nel mio paese. Non sarebbe stato giusto. Così ho deciso di fare qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima: da ebrea sono andata a vivere in territorio palestinese.
TERRA è il nome del paese in cui sono andata a vivere. Lì sono l’unica ebrea. La popolazione è costituita da 25 mila musulmani. Pur essendo ebrea sono perfettamente integrata in quell’area palestinese. Sono andata a vivere a Tamra nel 2002 e posso affermare che mi sento più a mio agio in territorio palestinese (in Medio Oriente) che non nel resto dei paesi occidentali dove spesso sono invitata allo scopo di partecipare a conferenze o incontri. Poiché vivo in un villaggio israeliano a maggioranza araba, fronteggio tutte le discriminazioni affrontate dai cittadini palestinesi. Tali discriminazioni operano a tutti i livelli della vita sociale La peggiore delle discriminazioni è la confisca della terra che è iniziata a partire dal 1948 quando molte comunità arabe sono state distrutte e le loro terre confiscate.
Le persone che hanno subito la confisca delle terre sono diventati dei “rifugiati interni”. E’ terribile essere un rifugiato interno al tuo paese perchè esisti ma allo stesso tempo è come se tu non esistessi. I rifugiati hanno perso tutto e non ricevono dallo stato di Israele alcun tipo di “compensation”.
>Tutto ciò rappresenta il cuore della questione israeliana- palestinese. Io vivo in una zona in cui ci sono 40 mila “dunams land” *. Nel 2020 saremo in 42 mila sulla stessa terra. La situazione è identica a Gaza. Viviamo in un ghetto. Il 40% della popolazione di Tamra è disoccupata, 600 ebrei vivono intorno a Tamra su 1000 “dunams land” prese illegalmente ai palestinesi. Dopo 15 anni dalla fondazione dello stato di Israele non c’è stata nessuna costruzione di edifici a favore di cittadini palestinesi. Un cittadino palestinese costruisce la propria casa con i propri soldi senza ricevere alcun tipo di aiuto dallo stato. E’ questa una ulteriore discriminazione che opera a danno dei palestinesi. Altre discriminazioni attengono alle prestazioni sanitarie, alla possibilità di accedere all’educazione scolastica, alla possibilità di trovare lavoro.
In poche parole la relazione tra ebrei e palestinesi nel territorio dello stato di Israele è come quella tra “master and servant”. A Tamra abbiamo una sola ambulanza; se scoppia un incendio non sappiamo come fare . Viviamo in un campo per rifugiati!
Attualmente non lavoro più nella ONG di cui parlavo all’inizio. Il mio compito, ora, è quello di “supervisor” degli studenti che vivono all’interno della comunità allo scopo di far acquisire loro la consapevolezza di sentirsi cittadini dello stato di Israele.
Loro si sentono come stranieri nella loro terra.
Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia
Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
Lascia un commento