Storie di condivisione oltre le differenze

E’ stato un incotro ricco di stupore quello con S.E. Mons Shlamon Wardouni, vescovo ausiliare di Baghdad. Ci ha trasmesso la speranza di un dialogo possibile fra cristiani e musulmani, un dialogo che come in passato si basa su esperienze concrete di condivisione e di fratellanza.

Eccellenza, molto spesso il dialogo tra religioni diverse è più difficile fra le autorità religiose che tra famiglie che vivono l’una accanto all’altra. Un dialogo “dal basso” è ancora possibile in Iraq?
Questa è una bella domanda, però, per costruire un “dialogo dal basso” bisogna che la gente sia preparata e ciò avviene grazie all’aiuto dei capi religiosi. La gente semplice per giungere ad un dialogo deve avere come esempio i capi religiosi e per questo è importante il dialogo tra noi. I capi religiosi  che sono in una posizione di comando ed hanno una grande responsabilità, devono pensare a ciò che Dio vuole, perché Dio, che ha creato l’uomo, lo ha creato per amore e vuole il suo bene; sempre!
Certamente, ma com’è in Iraq la convivenza tra famiglie di religione diversa?
Attualmente, ma anche prima, abbiamo tanti esempi di amicizie tra le famiglie cristiane e musulmane. Per esempio, dove abita la mia famiglia, ho dei vicini di casa musulmani, i quali, mi hanno sempre mostrato la loro vicinanza in tutte le necessità e a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Durante la guerra, inoltre, noi abbiamo aperto le nostre chiese a tutte le famiglie, cristiane e musulmane, e tante famiglie musulmane sono venute nella mia chiesa. Quindi, questa fratellanza esiste davvero. Mi sovviene un altro aneddoto: la mia famiglia era dedita alla pastorizia e quando ero piccolo andavamo durante l’inverno con famiglie musulmane per il pascolo, dormivamo nelle loro case. C’era una musulmana che mi voleva bene come se fossi stato suo figlio.  Non so in questi ultimi tempi cosa sia successo ma si comincia a sentire un po’ di distanza tra le famiglie cristiane e quelle musulmane.
In Iraq  i cattolici sono la minoranza, le giovani coppie quando si sposano tendono ad abbandonare il paese. Che cosa sta facendo la Chiesa irachena per queste giovani coppie?
Badate che non è una questione delle giovani coppie, delle vecchie coppie. L’emigrazione è un effetto delle guerre, delle difficoltà che abbiamo avuto da più di quarant’anni. Abbiamo avuto sia guerre intestine che con l’estero: una volta con i Curdi, un’altra con l’Iran, la Persia, quella del Golfo. Quindi è una questione abbastanza lunga e molto, molto dolorosa. Dal 1958 fino a oggi, non so quante rivoluzioni interne abbiamo avuto e il popolo è stanco di fronte a queste difficoltà e per questo cercano di andare altrove, per vivere in pace. I giovani emigrano anche per trovare un lavoro, però, purtroppo, le nazioni estere non aiutano i nostri giovani, non li trattano bene, non gli danno il visto e per questo emigrano clandestinamente, con tante difficoltà.
E la chiesa irachena?
In passato, noi eravamo totalmente contro l’emigrazione e dicevamo che non avrebbero trovato altra nazione migliore dell’Iraq: per la sua cultura antichissima, le leggi di Hamurrabi, il nostro museo dove si parla degli Assiri, dei Babilonesi, dei Sumeri. L’Iraq è ricco non solo di giacimenti di petrolio ma anche per la fertilità della terra: la produzione di datteri basterebbe per il fabbisogno dell’intero paese.  Avevamo più di 20 milioni di palme da dattero, ma adesso molte sono state abbattute durante  le guerre dai bombardamenti, altre sono state tagliate per impedire ai  militari di usarle come nascondiglio. E pensare che si diceva di noi che avevamo le montagne, l’antica  Babilonia, Ninive, il Tigri e l’Eufrate, e altro, tutta la nostra storia, le civiltà antiche. Invece adesso non possiamo più dire ai nostri giovani, alle nostre famiglie di non emigrare, perché ci dicono: “tu mi garantisci la vita?” Io non posso garantire niente a nessuno.
Avete le mani legate come chiesa in Iraq.
Si, abbiamo le mani legate. Diciamo loro che sono liberi di fare ciò che vogliono ma lo diciamo con grande tristezza nel cuore, perché  non vogliamo che vadano via.
Eccellenza, in Iraq esistono associazioni cattoliche che lavorano a favore di un dialogo fra religioni diverse?
Certamente, cerchiamo di dialogare, cerchiamo di avvicinare i nostri fratelli musulmani, nella vita quotidiana, ma un dialogo ufficiale come si fa qui in Occidente, per il momento non c’è. Però, come dicevo, tentiamo di dialogare praticamente, nella vita quotidiana, andando a visitarli, andando alle loro feste musulmane, così come loro vengono alle nostre, in occasione del Natale e della Pasqua.
Quindi nel quotidiano ci sono più germogli di pace di quanto appare invece a livello internazionale?
È cosi, infatti, ma ci stiamo adoperando anche ai “piani superiori”. Quando ci sono congressi internazionali, organizzati da associazioni come la Comunità di S. Egidio o come Comunione e Liberazione, e ci invitano a partecipare, noi chiediamo ad alcuni capi religiosi musulmani di accompagnarci. E così questi incontri diventano occasioni di dialogo e di confronto.




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