Aggiungi un posto a tavola
di Giovanna Abbagnara
Alla scoperta di una famiglia “extra-large” che ha fatto dell’accoglienza uno stile di vita.
Delfina e Gaetano sono sposati da 23 anni e hanno quattro figli. Sette anni fa hanno scelto di vivere in un’oasi. Questa definizione di casa famiglia mi incuriosisce molto. Entrando nella loro casa non si nota niente di particolare rispetto all’abitazione di una famiglia ordinaria: i bambini sono impegnati a fare i compiti, i più grandi sono nelle loro stanze a studiare o ascoltare musica, la mamma in cucina. L’accoglienza è semplice, genuina, fatta di sorrisi. Nella sala da pranzo troneggia un tavolo enorme. Chiedo subito il numero delle persone a pranzo e Delfina risponde “In casa siamo dieci tra adulti e adolescenti, poi ci sono due bambine piccole e gli ospiti di passaggio”.
Una delle bambine richiama subito la mia attenzione, è nella culla, ha un viso paffuto e roseo e gli occhi azzurri come un cielo d’estate. Sorride quando Delfina la chiama ma si muove a fatica e non può parlare. Quando è arrivata all’oasi aveva solo un mese e recava con se una sentenza gravosa: affetta da idroanancefalia. Quando parla di lei Delfina si illumina e si commuove, dice di aver vissuto il suo primo compleanno come un grande miracolo. “Con il suo sorriso, e i suoi pianti continui, si lascia asciugare, fasciare, abbracciare. Ogni giorno ci ricorda che lei c’è, esiste contro ogni previsione e dona forza e coraggio a tutta la famiglia”.
Di fronte alla sala da pranzo c’è la cappella, piccola ed accogliente, al centro della parete dipinta a voler riprodurre le onde del mare c’è il tabernacolo con Gesù eucaristia. E’ Debora, una ragazza di 27 anni che da due anni ha scelto di vivere nell’oasi a dirci che la cappella “E’ il luogo della sosta dalle quotidiane fatiche, il luogo della preghiera, dell’ascolto, del rifugio, della lode a Dio”.
Mentre continua la visita a questa casa ci fermiamo continuamente, in ogni stanza Delfina ci racconta con premura di madre, le vicissitudini della sua grande famiglia. Le chiedo che tipo di rapporto ha con i figli dati loro in affido e lei con grande serenità risponde: “Io e Gaetano, mio marito, intendiamo in affido anche i figli biologici, anche loro ci sono stati affidati. Il rapporto in questo modo si semplifica verso tutti perché abbiamo la certezza e la fiducia che siamo tutti figli dell’unico Padre”.
I neonati, i bambini o gli adolescenti che arrivano in questa casa cosa trovano? “Trovano innanzitutto una famiglia, una famiglia che li ama e li accoglie. Trovano dei punti di riferimento stabili, un ritmo giornaliero come ogni famiglia ordinaria e come in tutte le famiglia non mancano i litigi, le incomprensioni ma anche le gioie e i momenti di festa”.
C’è da chiedersi allora come fanno a gestire le loro giornate. “La nostra giornata comincia molto presto. Mio marito e i ragazzi più grandi alle 7.30 sono pronti per il lavoro e la scuola. Puntuale ogni mattina arriva mia cognata. La sua presenza è di grande aiuto, ci da una mano in casa e in cucina. Il pranzo è il momento più bello della giornata, ci si ritrova e ci si racconta di tutto, cercando di essere attenti all’ascolto l’uno dell’altro. Nel pomeriggio arrivano i volontari che ci aiutano con i più piccoli e intanto c’è da stirare, preparare la cena, accogliere chi bussa alla porta!”. Ma come fate a conservare la serenità in tutto questo? “In un’oasi si vive tutto in comunione, al di là del fare c’è prima di ogni cosa il rapporto con la singola persona, sia esso marito, figlio, giovane o neonato. Ognuno è un grande dono per tutti, viviamo riconoscendo la bellezza di ogni singola esperienza. Da quando sette anni fa abbiamo scelto di lasciare la nostra casa e di trasferirci nell’oasi siamo cresciuti tantissimo nella capacità di relazione con l’altro, abbiamo scoperto come coppia e poi come genitori che amare l’altro riconoscendo in lui un dono di Dio, è il vero segreto di una famiglia felice.”
La loro scelta è accompagnata e sostenuta da un forte cammino di fede oltre che da un equipe specializzata di tecnici del mestiere, ma la peculiarità di questa esperienza sta proprio nella capacità di questa famiglia di mettersi in gioco, di aprire le porte, di dilatare il cuore. In questi anni numerosi i bambini accolti, bambini rientrati nella famiglia di origine o che hanno poi trovato una famiglia nuova, dei genitori per sempre. Numerosi anche gli adolescenti con cui il rapporto data l’età non è stato sempre semplice ma che ora sono rientrati in famiglia con maggiore serenità.
Un ultima domanda la rivolgiamo ai figli naturali. Ad Angela, studente universitaria chiediamo come loro hanno vissuto questa scelta dei genitori. “Ricordo che quando i miei genitori ci hanno comunicato che desideravano aprire le porte della nostra casa erano molto preoccupati della nostra reazione. Ci dissero che era fondamentale che anche noi fossimo d’accordo con questa scelta. Ma contro ogni previsione tutti insieme fummo subito d’accordo. Il loro “si” come sposi negli anni è diventato un “si” come famiglia. Non solo partecipiamo, cioè doniamo una parte di noi ma per noi oggi è proprio vivere la scelta dell’oasi, da protagonisti”. Ci siamo attardati molto in questo pomeriggio, è quasi ora di cena, le piccole richiamano le attenzioni necessarie, i bambini hanno finito i compiti, i ragazzi danno una mano in cucina. E’ l’ora di salutarci. Mentre scendo le grandi scale di questo edificio ristrutturato con tanta fatica in questi anni comprendo finalmente perché hanno chiamato questo luogo “oasi”. E’ la casa del pane, non solo di quello materiale. Qui si trova il nutrimento che rinfranca lo spirito, ricuce le ferite, colma gli abbandoni con l’amore e il rispetto. Qui si vive la comunione piena, quella che viene dall’alto e la si accoglie non come un peso ma come un dono. E’ situata in una città, è pienamente inserita nel tessuto sociale come ogni famiglia ma risplende di una luce calda e accogliente, il calore di una famiglia.
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