A Verona si parla di famiglia

a cura di Francesco Gravetti

Michelangelo ed Enrica vengono da Fossano, in provincia di Cuneo e fanno parte dell’Ufficio Famiglia CEI. Presenti al Convegno di Verona come moderatori del gruppo sull’affettività (uno dei molti ambiti trattati nel corso dell’evento), accettano di fare con noi il punto della situazione sulla famiglia e su quanto e come si è discusso di famiglia nel convegno.

A Verona si è discusso di tanti argomenti. La Chiesa italiana si è interrogata profondamente. Credete che sia stato dedicato sufficiente spazio alla famiglia?
Questo convegno è diverso dai precedenti proprio perché ha messo al centro la persona ed i suoi ambiti, i suoi interessi. In questo senso la famiglia ha avuto un ruolo importante, perché capace di catalizzare tutti gli affetti ed è trasversale agli ambiti discussi. Anche se proprio il convegno ha fatto emergere che alla famiglia non è demandata l’esclusività degli affetti. Gli affetti possono e devono emergere anche nella pluralità delle vocazioni e dallo stare assieme.
Tra i tanti temi, quello dei laici forse è stato il più dibattuto. Come credete che possa inserirsi il ruolo della famiglia nel dibattito sulla laicità?
La laicità è un aspetto sempre più importante della nostra Chiesa ed i laici occupano sempre più spazio. La Chiesa si pone, così, il problema di salvaguardare e valorizzare le specificità di ciascuno. In questo senso la specificità della famiglia, della coppia non solo non va dimenticata, ma deve essere tenuta sempre in grande considerazione.
Ma nella Chiesa italiana c’è abbastanza considerazione per la Pastorale familiare?
Noi da tempo andiamo dicendo che la famiglia deve essere non solo oggetto della Pastorale, ma soggetto attiva. Bisogna partire dalla consapevolezza che la famiglia è il luogo dell’amore, della crescita, del confronto. In questo senso essa può aiutare a costruire una comunità dove non c’è o dove è in difficoltà. La vera scommessa della pastorale familiare è insistere sulle relazioni, sulla comunione di intenti, sulla collaborazione con gli altri aspetti della Chiesa. È questa la sfida del futuro.
C’è, poi, la questione dei giovani. La difficoltà a far arrivare loro il messaggio cristiano. Come può essere d’aiuto la famiglia in questa problematica?
Siamo certi che nel sogno dei giovani esista ancora la famiglia. Questo sogno deve essere accolto e realizzato. Certo, c’è bisogno di fare tanto. Per esempio sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione tra pastorale familiare e pastorale giovanile, soprattutto in quello spazio dove i giovani non sono ancora dei fidanzati, né tanto meno, frequentano il corso di matrimonio. È una sorta di zona franca dove c’è bisogno di intervenire con forza. Noi abbiamo scritto anche un libro sull’argomento, che si chiama “Più che amici, non ancora fidanzati”.
Inoltre, secondo noi è importante saper accogliere le provocazioni dei giovani, che nascono per lo più proprio dalle incomprensioni con gli adulti. Ma per accogliere queste provocazioni bisogna sapersi porre in modo adulto e consapevole, per offrire ai giovani un modello, una traccia da seguire.




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